Nelle domeniche di Ottobre si tiene ogni anno a Sant’Agata Feltria, la “Fiera nazionale del tartufo bianco pregiato”. La manifestazione che quest’anno ha raggiunto la 34°edizione, è considerata una delle più importanti del settore a livello nazionale.

Il tartufo nella storia

Il tartufo bianco pregiato rappresenta l’espressione migliore della natura in autunno, quale indiscusso re incontrastato della tavola in quei giorni ed agitatore della fantasia dei  buongustai. Pare che fin dall’antichità si facesse uso gastronomico di questo pregiato fungo, dai Babilonesi agli Egizi che furono i primi a decantarne le qualità, allo stesso Cheope che li preferiva cotti. Curiosa la teoria di Teofrasto di Ereso, allievo di Aristotele, il quale nel suo testo botanico e secondo la sua intuizione, descrisse lo sviluppo del tartufo quale risultato della combinazione di tuono e fulmine nell’impatto con la terra, introducendo in questo modo la millenaria nomea sulle sue virtù.

Era presente sulla tavola del celebre Lucullo, uomo dai proverbiale stravizi, ed ai Romani si devono, seppur incidentalmente, i nomi correnti del tartufo: terrae tuber, come lo definiscono Plinio il Vecchio e Petronio o truffolae terrae, vale a dire rigonfiamento della terra, sintetizzato in truffolae, da questo il dialettale trifola e le voci straniere “truffe”, francese e “truffle”, inglese.

Trascurati per millenni dalla gastronomia, i tartufi entrano in scena con vigore sul nascere del secondo Millennio. Tramontata l’epoca più sconosciuta del tartufo e le teorie strampalate di Teofrasto, l’affermarsi dei Comuni e delle Signorie, viene a coincidere con la rinascita gastronomica che porta i tartufi bianchi e neri a diventare i protagonisti sulle tavole del Rinascimento. Aneddoti che coinvolgono personaggi di grido del tempo si susseguono, da Caterina Dè Medici, cui si attribuisce il merito di aver portato il tartufo alla corte di Francia, a Lucrezia Borgia, che pare se ne serve per accrescere il suo fascino.

Quanto alle presunte proprietà voluttuose del tubero, qualche risvolto ormonale deve poi averlo il suo forte profumo. Perchè mai le femmine di cinghiale, stando a certi cronisti, interromperebbero la fuga imbattendosi nella trifola? Di questi aneddoti è colmo anche il campo gastronomico fino all’apoteosi dei Tournedos alla Rossini. Paralleli ai progressi gastronomici sono gli sforzi per scardinare il segreto biologico del tartufo. Scarsissimi i risultati: occorre aspettare l’invenzione del microscopio quando nel 1831 con la Monographia Tuberacearum di Carlo Vittadini, per la prima volta viene definito tale fungo ipogeo.

Nell’attesa Molière lo eleva ai disonori della commedia facendo il Tartufo il suo più celebre eroe negativo, ipocrita e moralmente sotterraneo (e l’evidente parentela della parole truffa, da truffe, da dice lunga sulle delusioni già allora partite da cercatori e acquirenti). Un ingiusto giudizio per il nobile frutto.

Cos’è il tartufo

Dopo la breve rivisitazione fatta sul tartufo nella storia, ci sembra opportuno dare quelle indicazioni indispensabili e necessarie sul “celebre personaggio” che caratterizza la nostra fiera nazionale.
Iniziamo il percorso, attraverso il mondo nascosto di questo prodotto, con il dire che il Tartufo appartiene alla categoria dei funghi ipogei, cioè organismi che svolgono tutto il loro ciclo vitale sottoterra, ed è classificato nell’ordine degli ascomiceti, famiglia delle tuberaceae. Anche se ha somiglianza con tuberi come la patata, il tartufo è parente stretto di porcini e prataioli, pur non avendo lo stesso aspetto esterno e struttura interna. Come tutti i funghi i tartufi sono sprovvisti di parti verdi e non essendo in grado di ricavare attraverso la fotosintesi clorofilliana le sostanze necessarie al loro sviluppo, devono assumerle dall’esterno e nella fattispecie dalle radici di alcune piante superiori (roverella, tiglio, pioppo, carpino, salice, nocciolo), instaurando con queste un rapporto di simbiosi. I tartufi possiedono una parte vegetativa (micelio) costituita da sottili filamenti (ife) che hanno come compito principale quello di assorbire e per assolvere meglio a questa funzione si trovano ampiamente diramate nel terreno. Queste, a contatto con le parti terminali delle radici delle piante ospiti, sviluppare particolari organi (micorrize) attraverso le quali si instaura lo scambio di sostanze vitali che abbiamo precedentemente descritto. La presenza delle micorrize è determinante per la formazione del tartufo, infatti ogni anno al verificarsi di determinate condizioni climatiche, esse stimolano la formazione del corpo fruttifero (carpoforo), facendo si che si formi nel sottosuolo la celebre “pallina”, ad una profondità compresa tra la superficie e i 60 centimetri. Il frutto è caratterizzato da un rivestimento esterno (peridio), liscio o verrucoso a seconda della specie e da una polpa interna (gleba), che al taglio appare marmorizzata per la presenza delle venature scure, che sono le zone produttive del carpoforo e contengono le spore, organi atti alla riproduzione.

Arrivato alla maturità il tartufo, a differenza degli altri funghi che diffondono le pro-prie spore in superficie, emana un forte profumo. Ad essere attratti da questo aroma, sono principalmente cinghiali, insetti, lumache e roditori, che se ne cibano disperdendo così le spore nel terreno e avviando di conseguenza un nuovo ciclo di vita del fungo. E’ possibile in questa maniera, poter trovare diverse specie di tartufi alla stessa pianta ospite.

Potrete assaggiare

Fonte: Pro Loco Sant’Agata Feltria – Comune di Sant’Agata Feltria – Provincia di Rimini – Regione Emilia Romagna

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